Pietro Aretino
Lettere, Libro IV
€60,00
- Collana: Edizioni Nazionali, Edizione Nazionale delle Opere di Pietro Aretino, IV/4
- A cura di: Paolo Procaccioli
- ISBN: 978-88-8402-311-7
- Soggetti: Letteratura italiana I. Dalle origini al Settecento. Testi
- pp. 536
Il quarto libro comprende 674 lettere scritte tra il marzo 1546 e il giugno 1549; la dedica al ricco mercante cremonese Giovan Carlo Affaitati è del settembre ’49, e allo stesso mese, stando almeno a una lettera del quinto libro, risalirebbe la conclusione della stampa. La pubblicazione però dovette essere ritardata fino al 1550, quando venne edito insieme al quinto. Gli anni interessati, al di là della solenne bastonatura commissionata allo scrittore dall’ambasciatore inglese, sono relativamente poveri di avvenimenti esteriori. Cambia però notevolmente il quadro politico; muoiono il re di Francia, e quello d’Inghilterra; muore il marchese del Vasto; il duca di Parma rimane vittima di una congiura. Per Aretino è un mondo che scompare, e non sempre il nuovo sembra pronto a secondare o anche solo ad ascoltare il suo verbo. Ciononostante lo scrittore ha ancora buone carte. La sua posizione a Venezia è quanto mai solida; il duca d’Urbino si conferma l’interlocutore affidabile di sempre; il dialogo con la Firenze cosimiana se non proprio fluido si fa più disteso; il problema della pensione imperiale viene risolto colla corresponsione diretta da parte dell’ambasciatore a Venezia; da Roma giungono segnali di una qualche disponibilità, e l’epistolografo, fattosi poeta drammatico, risponde coll’Orazia e la dedica della tragedia allo stesso Paolo III. La scelta tragica, che per le idealità di poetica del tempo comportava la rinuncia piena alla cifra pasquillesca, segnava il ritorno dello scrittore nell’ovile del classicismo.
Le avrebbero dovuto far seguito, sic erat in votis, altre attenzioni, e si cominciò a parlare con insistenza di un Aretino prossimo cardinale. Non se ne fece nulla, e lo scrittore si trovò a smentire le sue aspettative: «se io ho mai avuto in animo per causa d’alcun giardino di aria de la prelatura, ch’io possa diventar Car., che mi parebbe essere e morto al mondo, e vivo sotterra» (lett. 504). Il sogno era destinato a ripresentarsi di lì a poco, coll’elezione di Giulio III, ma al di là della praticabilità di quella prospettiva resta che l’Aretino di quegli anni era realmente impegnato nell’ulteriore metamorfosi; lo dichiarò al suo traduttore francese: «ora mai paio più tosto filosofo che poeta» (lett. 19). E da filosofo con aspirazioni prelatizie cominciò a comportarsi; per esempio affiancando la sua alle voci di quanti in alto loco criticavano lo “scandaloso” Michelangelo della Sistina. Il pulpito era quanto mai inadatto per rampogne di tal fatta, e la cosa in nulla credibile; ma restava il segnale di una disponibilità a reincarnarsi, in quella stagione già precocemente segnata dalle discussioni conciliari, nella figura allora consueta – ultimo testimone Pietro Bembo – del letterato fattosi miles Christi.
Dante Alighieri
Epistole · Egloge · Questio de aqua et terra